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Il sottomarino volare verso l'assurdo. Il colore della sofferenza ignorata. In fondo il sogno è stato davvero l’unico modo per sfuggire a una realtà che chiedeva solo di essere dimenticata. Avventurar-si in definitiva in quegli universi, intrecciati o paralleli, che restano perlopiùsconosciuti, nello spazio e nel tempo. Già, perché anche il tempo è un proble-ma: stabilire le origini, il momento esatto dell’inizio, non è facile. Sulla vergogna della propria disumanità e sulla speranza della propria umanità.
Temi traumatici per eccellenza… l’ansia è una preoccupazione eccessiva che dipende dl fatto che valutiamo in maniera irrazionalmente terribile e intollerabile gli eventi. Erroneamente riteniamo che un problema si risolva concentrando tutta la nostra attenzione su di esso. Oppure riteniamo -altrettanto erroneamente- che non possiamo fare a meno di pensarci perché siamo fatti così, è la nostra natura.
Non è un paradosso dire che abbiamo bisogno di credere, perché tutta la nostra esistenza è un bisogno, perché non possiamo rimanere consapevolmente soli, mentre desideriamo che la nostra conoscenza, di noi stessi e delle cose, ci porti a sentirci uniti al mondo intero, anche quando questa unione ci fa male.
Il solo desiderarli pone la mente nell’atto creativo per eccellenza. Il boia di questo terzo millennio è l’indifferenza, l’ho detto, ripetuto fino alla noia, non è soltanto paura, viltà, vigliaccheria, che ci fanno indietreggiare di fronte a tanta miserabilità dis-umana, che rendono il nostro cuore una pietra, la nostra dignità un albero senza radici.
La paura alberga in ogni uomo, scava dove la somma non ha mai sapore di giustizia, occorre fare leva su tutte le nostre energie interiori per ritrovare coraggio, quello spazio di terra e di sangue che ci fa schierare, senza se e senza ma, dalla parte chi vede rapinati, umiliati, annientati i propri diritti fondamentali.
Purtroppo non è così, e non sarà mai il silenzio a fare da scarto per una ritrovata coscienza, per una significativa presa di posizione a favore di uno stile di vita equilibrato, non più fondato sulla prevaricazione intenzionale, sulla sottomissione persistente, sulla violenza più asimetrica, dove il più debole è obbligato a mollare gli ormeggi nella maniera più drammatica, nella condizione-oppressione disperante della paura che diviene vergogna.
Un atto che può esprimersi anche nelle adozioni e in quelle azioni di genitorialità simbolica proprie di coloro che non hanno figli, per una serie infinita di motivi. Se crediamo che niente è sacro e tutto può essere cambiato, inclusi i nostri valori, allora rinunciamo a quella posizione dalla quale può scaturire la vera libertà.
La liberazione, portata all’estremo, significa infatti perdita dei fini, dei limiti, dei confini. E in un mondo senza fini, tutto è un mezzo e niente ha un significato. La nostra ipotesi si basa essenzialmente su una nuova visione dello spazio: per noi lo spazio è unico e, se esso si gonfia tra le galassie, esso deve gonfiarsi anche all’interno di esse. Consideriamo tutto quello che ci circonda, il nostro modo di andare per la strada in auto, come ci rapportiamo con le altre persone nei supermercati, e domandiamoci quanto siamo consapevoli che accanto a noi esistono persone molto simili a noi.
Il gruppo possiede una ragione super-individuale, un valore che supera le richieste individuali, che possono tranquillamente, senza nessun giudizio di valore morale, superare quelle personali. Il neorazzismo è la convinzione che ciascuno debba vivere nel proprio paese, la reazione alla mobilità degli esseri umani, la pretesa di bandire gli indesiderabili.
Ma, in questo caso, la contestazione si concentrava solo sul linguaggio. C’è la fine di ogni ricordo d’umanità, e la barbarie come unico orizzonte. La natura è come una foresta di simboli tra loro corrispondenti; il mondo è un insieme di simboli che ci parlano in un misterioso linguaggio: né la scienza né motivo possa includere.
A poco a poco riemerge e viene ricomposta tramite la narrazione, in una lettera aperta che la scrive… avvengono cambiamenti importanti, nel modo di pensare, di pensarsi, di riconoscere e regolare le emozioni, nel tono dell’umore, nelle relazioni con gli altri e nel comportamento.
Il trauma non esce dal nostro cervello perché è impossibile dimenticare, però può avere una collocazione migliore, una forma meno disturbante: il ricordo esce dall’isolamento in cui si trovava incapsulato e si collega ad altre reti. Il finale lascia intravedere una possibilità di cambiamento. Attraverso la ricostruzione e l’elaborazione del trauma, e grazie all’incontro con una figura positiva, uno stesso ricordo doloroso, ma non più disturbante, si ricolloca, si riorganizza nelle reti di memoria in modo più adattivo…
Tutto, dunque, sembra parlare di un incontro mancato. Di un appuntamento sempre rimandato… Un Tutto misterioso e inesplicabile, davanti al quale è possibile soltanto il Silenzio. Quante volte abbiamo dato la colpa alla volontà, la nostra oppure quella altrui, per giustificare, nel positivo, come nel negativo, i nostri comportamenti?.
Credo tante volte, e forse non sono il solo ad averlo fatto. Ovviamente (purtroppo) non esiste una domanda univoca a tutte queste domande. A tale scopo l'esistenza della vita è la rivelazione dell'essenza misteriosa della realtà: segreto riservato, lei cerca di capire le somiglianze negli aspetti primordiali idee. Inevitabilmente nessun contatto né con la logica né con l’empirico...
Si tratta di un’idea di integrazione, di compenetrazione tra il testo in modo da creare un unico univer-so comunicativo che richiami nello spettatore una serie inedita di sensazioni. È quindi evidente che il contatto degli individui con lo spirito del tempo non può essere idealmente intimo quando le forme dei fenomeni vengono affrontate con i guanti dell’analogia.
Autore: Joel Fortunato Reyes Pérez
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Poeta
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DESENMASCARADO
En esa faz de la ola fugitiva el tiempo no puede vivir furtivo en el breve espacio de los ojos en el brillo que desteje su transparencia en el rostro que cultiva sus ausencias el tiempo no puede no puede negar petrificado el pasado que cuelga del vuelo de las tapias que anida por el suelo nublado en el jardín de las lágrimas absortas con el único nogal de las cobijas con el último fresno de las noches con el virtual roble de los vientos. . . . . . Des En Mas Ca Ra Do
En esa faz de los relojes disidentes el tiempo tiembla en el templo con la luz evaporada del silencio con la voz azulada del olvido con la paz ahuecada del graznido el tiempo, tiembla tiembla afirmando blando el presente que despega del cielo las estrellas que ocultan por el piso los tornados en el ligero verde de las penas en el suave rojo de los prados en el grave blanco de las cadenas. ¡La ola fugitiva apresó el morir furtivo!. . . . . . Des En Mas Ca Ra Do
Autor: Joel Fortunato Reyes Pérez
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Poeta
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Acalandarse
Al bronce de las discordias Estaño gris al estaño En La voz___¡Qué silencia duerme! De la raíz irredenta Del único sórdido inocente De vieja sal agobiada Del azucarado hosco dique En La danza___¡Qué desnuda crudo! Cobre roble el cobre Al mercurio de las disculpas Con Las Escamas Submarinas Del Aluminio Enmaderando ¡Hidráulica la música! ¡Huracánico el suspiro! La Cólera muere Titánico Renacer Monótonos tragediares ¡Anegados y perdoníticos!.
Autor: Joel Fortunato Reyes Pérez
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Poeta
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REBROTAR EPILOGAL
Plateando hilados. Bajo el sombrero tibios. Ayeres de brasa, brazo al amor bramando. ¡Epilogal!. En los besos-mariposas hay un muro. De prisiones calculadas. Inmaculadas. Del rebrotar perseverantemente etéreas. Con un revólver celoso al volver. ¡Vivo al desamparo revivo!.
Al final rehaciendo. Los viajes a la nada. ¡En blanco para siempre jamás!. Nada y todo, donde el todo nada y nada. En el fondo, abandonada, porvenir. ¡Epilogal!. El agua hecha pedazos escondida. El hacha paciente del ingrávido castillo. Al etéreo encontrar de los vestigios. De las tormentas indefensa humedad. ¡Del vocabulario despreocupado!. En las mirada del rebrotar epilogal. Al escenario, arsenal de los tejados. Halagüeño ungüento del rumbo fresca. Aurora___Utopía de los suspiros de la tarde. De los murmullos sonrosados. De las plantas___¡Flores implantadas!. De los caminos trasplantados. Del desplante claro y seco___¡Oportuno!. El frescor herido mira el fuego. La nieve febril aroma el duelo. El suelo del susurro el miedo. La sonrisa sepulta el daño. Epilogal es rebrotar es. ¡Rearderse!. Anheloso nevoso espaciosoEn La pulpa del morirse continuamente. En La espina del jamás recuperarse. En La esquina del gélido repliegue. Dueña mariposa sueña mares rosas. ¡Al calcular las prisiones!. Inmaculadas___¡Esperanzadas esperan!. Los viajes. A la nada, ala, lana, hada del porvenir. Donde... Es epilogal es rebrotar, al color del calor. ¡Monstruosamente invisible!. Al dolor. Acorazado descorazonar líquido y frágil. Al vegetar. Almidonados tridentes cuadriculados. Etéreos___Imaginarios del imposible. Epilogal es rebrotar es refundirse. Por Los hilos automáticos del método. Por Las ardientes confesiones insuficientes. Del___Hogar___Absoluto___¡Último sueño!. De las ausencias lleno. Del único opacar del viento. Del doblar andando las esquinas. Ya rebrotares ya rearderes lentos. Ya epilogales ya enverdeceres rápidos. Autor: Joel Fortunato Reyes Pérez
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Poeta
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(a Fulgencio con mi silencio afectuoso…) Se pierde la voz en los confines del tiempo -que sientes no pasa- confundida y enredada como hiedra de lamentos; se pierde la voz y con ella la vida que se sufre entre los laberintos del interior que se sueña, imaginando azules huérfanos de cielos radiantes y soñando con noches de Lunas por amor robadas.. Se pierde la voz y no queda nada, no queda la fuerza, perdida en la insistencia, ni la paz, arrebatada en la batalla, tampoco la razón que esclava de la ceguera del corazón huyó sin destino buscando otro justo y noble motivo. Los pasos del hombre oyendo su voz, mirando cada día el amanecer que no llega, soñando despierto entre nubes de promesas y acompañado de todas las creencias; los pasos del hombre por sentir y vivir su interior sin terminar de comprender que vivir en una cárcel, aunque suya y de oro, es la peor de todas las condenas. Cuando el hombre pierde la voz comienza a hablar con el corazón; cuando desiste de luchar por la razón comienza a ganar la batalla que lo hace grande, maravilloso y único en ese mundo que tanto buscó. ©jpellicer
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Poeta
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EL HUMO DEL ESPEJO HABLÓ
Y en un perfecto Náhuatl, con los mismos, sonoros vientos de los alientos, la poesía sin palabras, la poesía del corazón, del alma. Habló del humo, del espejo, del ser voz, historia y fantasía, dolor y alegría, en las mismas entrañas esféricas del cosmos.
El Humo Del Espejo Habló.
Cuando los sonidos mueren dentro, de los estruendos de amargas armas, la consciencia humana desaparece, en las playeras cotidianas de la vida, bajo los suelos, en el pasado simulado, dentro de los escombros del futuro. ¡Nada se edifica sobre la nada, la verdad, no se cultiva con mentiras, no se acaba!. En Éste ahora, mil siglos nos preceden. En Éste futuro infame de fracasos. En Éste espacio doblado del metal. Es La sombra ficticia de las ciencias.
Sí, sí... Bien lo sé, con el humo que nos precede. ¡Dónde todo está!. Legítimamente clonificado, en lo tecnológico del espíritu disperso, en las mismas armas que a la humanidad hacen ceniza.
El Humo Del Espejo Habló. ¡Más allá de los lenguajes, en la comprensión pura del oyente, dispuesto a oír, en la piel sensible del alma, en la voz de los dioses del pasado, y del futuro, en el único y múltiple, en el todo cósmico insondable. A pesar de los textos que dicen los absurdos, más actualizados, y la bruma misma confunden. Sentado, en un pasado vigilante de historias, implacablemente sepultadas, en la novedad, definitiva, una flama vela, la débil luz, de un sol ancestral. ¡Qué no niega a los otros!.
En El ¡Espacio atemporal!. En La ¡Sombra incandescente!. Habló Sin Una Sola Palabra.
Seguido del rincón de sueños, en el mismo humo, del espejo, la esencia misma, la forma crista- lina, configurando proyectos, sin artificios, bordando fantasías, incansables héroes, desconocidos hablaron.
Son ellos. Allá. ¡Míralos!. Dioses hijos primigenios, del gran creador eterno. ¡Ometéotl!. De los mil nombres, de los infinitos, dioses que engendra, y que a sí mismo se engendra, si lo quiere, nada lo abarca, todo lo da, y en nada disminuye, y la nada hace si quiere. ¡Es ó no es, donde sea, nada pide, los mismos sueños hace posibles, uno a uno o simultáneos, de todos los seres engendrados, y de aquéllos que hayan sido ó que vayan a ser!. Son ellos... Allá... ¡Míralos!.
El rojo Xipe Tótec El negro Tezcatlipoca El azul Colibrí Zurdo Huitzilopochtli El blanco serpiente emplumada Quetzalcóatl.
Habló Del Espejo El Humo.
¡Ven, vamos, la realidad bebamos de los antiguos, sueños, de todos los mundos posibles, en los her- manos de sangre, de tierra, madera y del alma en cualquier lugar y tiempo!. ¡Ven, vamos!.
Y Dijo: ¡Sólo!. El humo habla al que escuchar quiere, en la lengua no inventada, jamás olvidada, está, en el corazón humano. Frágil protector, de la omnipotencia divina, con la ínfima fe, que carga en el fondo de cada hueso, y en la misma piel del alma.
¡Solo el espejo es esclavo del reflejo!. Eslabón de su propia cadena, no puede, ignorarlo, solo se separa si, son uno y la misma cosa, ninguno es sin el otro.
Habló El Humo Del Espejo. ¡En el mismo reflejo del vacío!. ¡Espejo interior del fuego, de carne y hueso!. Sin el reflejo. ¿Dónde está el espejo?. Y...¿Dónde, dónde?. El mismo se observa.
"En el hombre, verdadero, auténtico y genuino, ser eterno y transitorio al mismo tiempo, un instante, una burbuja, un grano de playa, y desierto, hay consciencia, que con su consciencia dialoga". Es, es... En el humo...¡Liga de fuego y cielo!. La voz de carne y polvo.
Autor: Joel Fortunato Reyes Pérez
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Poeta
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CONMISTIÓN CONSABIDA
La mezquina espada enfila Rimas extrañas Allá Dónde tiritaba de alegría un hielo De Ventanas arrugadas, clavos y escaleras.
Consabida conmistión.
Quebrando. Al silencio abandonado. Al pie de la imponente montaña. Quebrando.
El pespunte petigris Decía: Es práctico, cuando las cadenas desesperen. Es completo, cuando el atardecer vuelve por la mañana. Es único, cuando el amanecer queda en la noche. En La obscuridad la luz camina. ¡Mejor!. Y es, lo que impulsa a llegar donde nadie llegó. Y es, del caminar las sandalias del lago soñado. Por eso. Esa tarde, dibujó al libro, libre, de la opresiva mañana. Y la tranquilidad del sillón, un carbón.
Consabida turbonada. Conmistión de guardafangos. Encima de los más profundos trueques. Y obvención anticipada. De los húmedos humos. Recónditos. Una pesadilla colorada.
Conmistión. Por los torpes colores limitados. Decía. La claridad trasciende lenta. La urdimbre hirsuta inexorable. Decía.
En cada inicio se ofrece. Un espacio. Un bloque de múltiples rúbricas. Ante los cambios. Por las descaminadas dimensiones. Consabida. En la dosificada confusión. Conmistión. En la pausada dispersión.
Lo inmundo De miserables millones Y Millonarios unos cuantos Serpenteantes Como Se expresa el ácido osario. ¡Alquitrán y alacrán!. Aún apenas. ¡Escucha, interpreta y emite!. En pedazos impávidos De Cibernética vanguardia. De Sintácticos amasijos. Conmistión. Al cerrar la noche. Consabida. Al abrir el día.
Donde Los acantilados acallan Y Al ahervorarse los suspiros. ¡Consabidos!.
Autor: Joel Fortunato Reyes Pérez
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Poeta
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